Non mi piace essere fotografato e non sopporto i selfie, devo aver avuto un qualche parente indio che credeva che i dagherrotipi gli rubassero l’anima o forse molto più semplicemente quando riguardo le foto provo solo nostalgia se penso ai bei tempi o tristezza se al contrario mi ricordano brutte cose. Entrambi i casi mi danno fastidio
Mi piace molto di più ricordare con la musica, una compilation personale di canzoni che a me riportano indietro esattamente al giorno in cui le ho registrate, messe via, canticchiate…
Stessa cosa con i profumi intensi, ma questa cosa l’ha scritta Proust due secoli fa…
Gocce di Napoleon, un parfume anni ottanta che faceva una promo in TV con un gatto cartone animato ballante con bionda sotto la pioggia, mi fa ritornare alla estate dei miei 18 anni per esempio, ma le canzoni sono più dettaglianti. Mi riportano al giorno, al posto, alla festa anche a distanza di 30 o 40 anni.
Ognuno ha le proprie canzoni preferite e la cosa incredibile che ho scoperto è che, pur non facendo troppa attenzione al testo, soprattutto se in inglese, poi rileggendole, riascoltandole o traducendole più attentamente, mi accorgo che oltre a piacermi mi identificano per qualche parola o strofa. Insomma la sento una volta e mi piace, poi la riascolto meglio e ne capisco il perché…
Credo capiti a chiunque, io ci ho fatto solamente caso.
Di domenica a Roma era tanto che non ci sia andava ed è stata una bella giornata, vinto, zero infortuni ed un ritorno in pullman con gente sorridente che cantava.
Però ci sono alcune foto che amo. Quelle che mi rappresentano senza essere dei ricordi.
La foto bifronte di squadra sulle scale dell’autogrill, per esempio, è ciò che ci identificherà da qui all’eternità, ma questo i PANTHERS 2017 sono e così è giusto che vengano ricordati: la cosa più bella è che è nata così, senza pensarci, senza un progetto, è bastato solo uno che dicesse: “culi fuori!” ed eccoli lì…
Un manipolo di parmigiani con un bolognese, due romani, due massesi ed un cremonese che hanno capito dopo 5 partite che la cosa più divertente del giocare a football non è vincere, ma capire a chi andrà la barba di Babbonatale per la cazzata più bella della partita, altro che MVP della gara…
Giocare a Roma con due romani in squadra: Giorgio e Stefano, anzi DonStefano.
Giorgio e DonStefano. Il diavolo e l’acquasanta e non è tanto per dire… così diametralmente opposti che fai fatica a pensare che parlino lo stesso dialetto o che siano andati alla stessa scuola elementare. Il primo che sembra caduto nell’adrenalina da piccolo, con la voglia di ridere e scherzare anche durante la partita della vita, uno che non riuscirebbe a stare serio per 5 minuti consecutivi nemmeno anestetizzato in sala operatoria. L’altro che a 20anni ha scelto di fare una cosa che nessuno fa e l’ha fatta davvero. E da allora si veste come nessuno si veste e lavora il giorno in cui tutti gli altri riposano. Li stimo molto entrambi, naturalmente per motivi diversi, Giorgio perché approvo che nella vita si debba sorridere prima di tutto e DonStefano perché ci vuole coraggio a cambiare vita anche quando scegli ciò che ti rende felice… bravi… perchè non è vero che il giusto è in mezzo, voi siete giusti così: uno bianco e l’altro verde fosforescente.
E poi domenica salta fuori la canzone di Adriano Celentano: “C’è sempre un motivo” e mi ricordo esattamente dove ero il giorno che l’ho ascoltata per la prima volta e da dove non avrei mai dovuto andarmene.
Dice che esiste sempre una ragione per ciò che accade, forse dipende dal caso o forse è destino e noi passiamo la vita a cercare di capire se poteva essere diversa o se le nostre scelte ce la cambieranno in meglio o peggio.
Conoscere il passato ed indovinare il futuro, non è poi tutto qui?
DonStefano mi direbbe di credere malgrado tutto (vero Don?), Giorgio di correre in avanti a 250 all’ora e vedere cosa succede.
E tra un sacerdote ed un pilota Ducati in mezzo ci stanno tutti gli altri Panthers, che non hanno ancora idea se quest’anno saranno competitivi oppure no. E chi lo sa? E davvero lo vogliono sapere? Dovranno aspettare due mesi, prima di allora sarà tutto un blablabla senza senso.
E’ la stessa cosa quando lavori o ti alleni, quando pensi di meritarti il premio per l’impegno che ci hai messo o quando non capisci perché malgrado gli sforzi, le cose non vanno come speravi. Bisogna aspettare la fine della storia per capirla.
C’è sempre un motivo ed in attesa di intenderlo non ci resta che, come dice Celentano, “camminare incontro al domani”.
PS: nella foto di squadra da dietro io sono in alto a destra…
by Ugo Bonvicini